sabato 30 gennaio 2016

Le donne e la Sharì'a



I diritti di una donna in una grande città sono regolati dagli Statuti personali riformati e dalle leggi spesso abbastanza laiche dello Stato, ma a poche centinaia di chilometri dai grandi centri, nelle piccole comunità, nei villaggi, nelle tribù e nei paesi integralisti, la Sharì'a' acquista una grande forza. Lo status, i diritti, il ruolo della donna variano moltissimo a seconda che intervenga il pensiero sunnita, sciita, o le diverse scuole coraniche nei vari Paesi. Probabilmente è nella famiglia che si nota, secondo la Sharì'a', la più grande differenza tra l'uomo e la donna, una famiglia spesso patriarcale retta da regole e consuetudini arcaiche e rigidissime, in cui come ai tempi degli antichi romani, il pater familias aveva diritto di vita e di morte.
La patria potestà spetta esclusivamente al padre e secondo la Sharì'a' il marito ha il ta' dib', ossia un vero e proprio diritto di correzione sulla propria moglie, che gli consente anche mezzi coercitivi violenti. In alcuni stati questo diritto, è stato abolito dalle leggi laiche, ma resiste nelle campagne. Nei confronti della donna, soprattutto poco istruita, spesso analfabeta, la coercizione più forte è forse quella psicologica, di violare qualcosa di sacro e di essere esclusa dalla Umma, cioè dalla comunità dei credenti e quindi anche dai mezzi di sostentamento che il più delle volte appartengono all'uomo. Se la donna appartiene alla comunità Sciita i figli maschi stanno con lei fino a due anni e le femmine fino a sette anni. Una legge recente, ma contestata, permette di tenerli più a lungo, ma se la donna si risposa perde il diritto ai figli e questi le sono tolti.
Un tempo, alla morte del padre, quando venivano oltrepassati detti termini di età dei figli,e la madre li aveva in custodia, gli stessi dovevano andare con i parenti del padre, non dalla madre, ma durante la guerra Iran-Iraq, visto il gran numero di vedove fu concesso il diritto di tenere i figli e la reversibilità dello stipendio del marito, senza che i parenti di questo, almeno legalmente potessero interferire. Questo diritto è oggi riconosciuto a tutte le donne che perdono il marito.
Nella comunità sunnita prevale il diritto della madre su quello del padre, almeno in teoria, in caso di figlio maschio la madre può occuparsene fino a sette o nove anni, se è una femmina fino alla maggiore età della stessa. Un donna egiziana ottiene in genere l'affidamento dei figli salvo che il marito dimostri che non è adatta oppure se si risposa.
I tribunali tunisini valutano caso per caso.
In Algeria la custodia dei figli spetta in genere alle madri e i padri hanno diritto di visita. Al compimento dei dieci anni i maschi vanno a vivere col padre, mente le figlie rimangono con la madre fino al matrimonio. In caso di morte del coniuge le donne algerine hanno automaticamente diritto alla custodia dei figli. Però nel mondo musulmano, come spesso da noi, le donne che ottengono la custodia dei figli difficilmente riescono a farsi pagare dall'ex marito l'assegno di mantenimento per se stesse e spesso anche per i figli. La madre decade dalla custodia dei figli se si risposa con un uomo proibito (ossia un non musulmano), infatti mentre un uomo può sposare una donna del Libro, la Bibbia, ossia una donna cristiana o ebrea ciò non è ammesso per la donna che deve sposare un musulmano, per far si che i figli siano educati nella religione musulmana. E’molto difficile, in un paese islamico, che una donna non musulmana possa ottenere l'affidamento dei figli, sempre per il timore che non li educhi nella religione islamica o, come spesso accade, voglia tornare nel suo paese di origine. Il padre rimane comunque sempre il tutore legale per tutte le decisioni riguardanti i figli e va ricordato che raramente il Governo Italiano ha la possibilità di intervenire nelle diatribe, spesso pesanti, circa la possibilità della madre occidentale di vedere i figli, in quanto vi sono Stati islamici che non hanno ratificato le convenzioni internazionali. Sarebbe opportuno tentare di prevenire queste penose situazioni, soprattutto con un'informazione corretta dei diritti che spetteranno o meno a ciascun coniuge. Le persone di religione diversa spesso si sposano con troppa leggerezza senza essere informate che in caso di fallimento del matrimonio vi possono essere, soprattutto per la donna, problematiche molto pesanti.

venerdì 8 gennaio 2016

La differenza tra sunniti e sciiti

sunniti e sciiti che pregano in moschea in due gruppi separati
Subito dopo la morte del Profeta, la maggior parte dei credenti riteneva che egli non avesse designato alcun successore e che fosse compito della comunità islamica eleggerlo, mentre una minoranza sosteneva che Mohammad avesse già scelto il suo successore nella persona di Alì, suo cugino e genero. Il primo gruppo, seguendo le regole dei costumi tribali, affidò l'elezione ad un'assemblea di saggi, che designò Abu Bakr, con il titolo di "primo califfo" (Khalifah). Mentre questo avveniva, il secondo gruppo, minoritario, continuava a sostenere Alì, ritenendo illegittima l'elezione del nuovo califfo e considerando Abu-Bakr un usurpatore del diritto di Alì.
Questo momento segnò l'inizio della scissione nell'Islam, una scissione che persiste fino ai giorni nostri. I musulmani si dividono infatti in due principali rami: sunniti e sciiti. I sunniti costituiscono l’85 % della popolazione complessiva di musulmani nel mondo. Gli sciiti costituiscono il restante 15 % e si trovano soprattutto in Iran, Pakistan, Arabia Saudita, Bahrein, Libano, Yemen, Siria.
Il termine sunnita deriva dall'arabo Ahl al-Sunnah che significa “il popolo delle tradizioni dei detti (ahadith) di Maometto” I sunniti ritengono di essere la scuola di pensiero più ortodossa e tradizionalista dell'Islam.
Il termine sciita deriva dall'arabo Shi'atu Ali, ovvero “sostenitori del partito di Alì”. Molte scuole di pensiero sunnite ritengono che gli sciiti siano i peggiori nemici dell’Islam in quanto vengono accusati di venerare il loro Imam Ali e i suoi discendenti.
Le principali differenze che troviamo tra le due scuole di pensiero riguardano:
  • I pilastri del culto che per i sunniti sono 5 mentre per gli sciiti sono 10, infatti alla testimonianza di fede (al-shahada); alla preghiera rituale (al-salah); all’elemosina (al-zakah); al digiuno durante il Ramadan (sawm); e  al pellegrinaggio a Mecca (hajj), si aggiungono, fra gli altri, tawalla, dove si esprimere l’amore per il bene e tabarra, dove si esprime l' odio per il male.
  • I sunniti celebrano solo due feste: l’Eid al-Fitr, che segna la fine del mese di digiuno, e l’ Eid al-Adha, festa del sacrificio, alla fine del pellegrinaggio (hajj) alla Mecca. Gli sciiti, invece festeggiano soprattutto l’Ashura ove si commemora il martirio dell’ imam Hussein ibn Ali, decapitato nel 680 DC durante il massacro di Karbala, in cui vennero uccisi anche 72 suoi familiari. Secondo gli sciiti, ad Hussein, figlio di Alì (rispettivamente nipote e genero di Maometto) sarebbe spettata la successione al profeta nella guida dell’Islam, ai loro occhi usurpata invece dai sunniti.
  • I sunniti pregano con le mani congiunte all’altezza del diaframma e per la Professione di fede si ripete la formula: «Testimonio che non c’è divinità se non Iddio, e Muhammad è il suo Profeta». Gli sciiti invece aggiungono «e Ali ibn Abi Talib è amico di Dio» inoltre pregano con le mani in parallelo rispetto al corpo, davanti alle cosce. Finiscono poi  pronunciando tre volte il takbir («Allahu akbar).
  • Per quanto riguarda il cibo e le bevande non vi sono differenze tra i sunniti e sciiti (vietati l’alcol e la carne di maiale).
  • Il velo (hijab) è obbligatorio per entrambi in base a due sure del Corano.
  • Fra i sunniti non c’è clero. L’imam è colui che guida la preghiera. Lo sciismo invece, ha un clero organizzato, preparato in università specifiche di scienze islamiche.