lunedì 10 dicembre 2018

Sonita Alizadeh: la rapper afghana




Sonita Alizadeh è una ragazza afgana di ventun anni che è riuscita a sfuggire al matrimonio combinato dalla propria famiglia e ora canta per far luce sulle condizioni drammatiche delle donne afgane. Vive e studia negli Stati Uniti presso l’accademia d’arte Wasatch, dove sogna di diventare avvocato, ma nel corso della sua vita, Sonita ha dovuto subire svariati spostamenti.
La sua famiglia è fuggita alla guerra in Afghanistan per stabilirsi a Tehran, capitale dell’Iran, quando lei aveva solo 8 anni. Dal momento che Sonita era profuga afgana senza documenti, non aveva nessun diritto all’istruzione. Per questo ha iniziato a frequentare un’associazione no profit che, oltre ad averla fatta studiare, le ha insegnato a fare musica. Grazie all’ong, la ragazza si è ben presto appassiona al rap. Dopo l’incontro con una giovane regista iraniana, ha iniziato a creare video musicali e i suoi brani hanno presto raggiunto un discreto successo. Quando Sonita ha cominciato a credere al suo sogno, però, le è stata data una notizia devastante. Sarebbe dovuta tornare in Afghanistan con la madre: lì un uomo era pronto a sposarla per 9.000 dollari e la famiglia aveva bisogno di quei soldi per pagare il matrimonio di suo fratello.
Sonita a quel punto ha espresso la sua protesta nel modo che le riesce meglio: ha scritto la canzone “Brides for sale” (spose in vendita).
Il brano inizia così:
Lasciami sussurrare, così nessuno sentirà che parlo di ragazze vendute. La mia voce non deve essere udita perchè va contro la Sharia. Le donne devono rimanere in silenzio… questa è la nostra tradizione.
Nel video, Sonita è vestita da sposa, ha il volto coperto di lividi, un codice a barre sulla fronte e supplica la famiglia di non venderla. La giovane rapper ha fatto subito molto parlare di sé, soprattutto in patria. E proprio da lì parte il suo lungo viaggio: NoorJahan Akbar, dell’associazione con sede a Kabul WLUML (women living under muslim laws), invia il video alla sua collega indonesiana Elie Calhoun. Elie lo posta su Facebook e lì viene visto da Cori Stern, co-fondatrice di The Strongheart group – progetto statunitense che si prefigge di aiutare giovani ambasciatori di cambiamento ad amplificare la propria voce. Da quel momento la musica di Sonita si espande a macchia d’olio: Mr. Loftin della Wasatch Academy offre a Sonita una borsa di studio; Laurie Michaels, sostenitrice di Strongheart, inizia a credere fortemente nelle potenzialità della ragazza e la aiuta a proseguire gli studi. La straordinaria storia di Sonita è stata anche documentata in un film: "Sonita is a traveling swallow" (Sonita è una rondine che viaggia) della regista iraniana Rokhsareh Ghaemmaghami, e Sonita è pronta a portare la sua esperienza sul tema dei matrimoni precoci e forzati perché, come ha raccontato in un’intervista apparsa su pri.org:
"Il rap consente di raccontare la tua storia ad altre persone. E’ una piattaforma per condividere le parole che sono nel mio cuore". Sul sito di Stoneheart scrivono:Sonita Alizadeh è una forza da non sottovalutare. È una voce molto potente per la rivendicazione delle ragazze e delle donne di poter scegliere il proprio destino (…). La sua musica è diventata un grido di battaglia per molte ragazze in tutto l’Afghanistan. Ed è così: nonostante dal 2009 esista in Afghanistan un decreto presidenziale sull’eliminazione della violenza contro le donne che vieta i matrimoni forzati, il fenomeno non è diminuito e la tradizione di cedere bambine per risolvere dispute familiari o per soldi è ancora molto radicata.


Lifegate, di Valentina Gambaro



domenica 28 ottobre 2018

Moschea di Nasir ol Molk



Mosque of Whirling Colors
La Masjed-e Naseer-ol-Molk a  Shiraz, in Iran, è un esempio di straordinaria architettura religiosa islamica. Esternamente non ha nulla di particolare, ma il suo interno rivela un magnifico capolavoro di design con colori sbalorditivi.
Chiamata con molti nomi diversi, è principalmente conosciuta come la "Moschea Rosa” per il colore rosato delle sue piastrelle, ma anche come la "Moschea dei colori", la "Moschea Arcobaleno" o la "Moschea Caleidoscopio”. All’alba, infatti prende vita e i colori , nel suo interno, danzano durante il giorno come dervisci rotanti. Si riflettono sul terreno, sulle pareti, sugli archi e sulle alte guglie, persino sui visitatori come se una pallina colorata venisse colpita dal primo raggio di sole ed esplodesse in migliaia di luci colorate.
Mirza Hasan Ali Nasir al-Mulk, uno dei signori della dinastia Qajar, ne ordinò la costruzione nel 1876 e, dopo dodici anni, nel 1888, la moschea fu terminata. I due progettisti, Mohammad Hasan-e-Memār e Mohammad Rezā Kāshi-Sāz-e-Širāzi volevano creare un luogo di culto che riproponesse il rapporto tra cielo e terra e tra luce e colore e il risultato fu uno dei più straordinari esempi di arte e architettura islamica di tutto il mondo. All’interno ci sono pareti colorate in vetro, dodici colonne che rappresentano i Dodici Imam del Twelver Shia Islam ( Twalver Shiism è la più grande branca dell'Islam sciita), diverse arcate, bellissime pareti e soffitti. Spicca l'uso della geometria; elementi naturali come fiori e foglie sono trasformati in figure geometriche. La particolarità di queste forme geometriche è il modo in cui sono state realizzate, infatti qui i mattoni non sono stati utilizzati solo come materiale da costruzione all'esterno, ma anche come materiale decorativo all'interno. Posizionando i mattoni in diversi modi, si sono create simmetrie e contrasti perfetti tra luce e buio. I soffitti decorati hanno due elementi architettonici particolarmente noti:
i muqarnas soluzione decorativa propria dell'architettura islamica, originata dalla suddivisione della superficie delle nicchie, in numerose nicchie più piccole e sulla sua facciata esterna il design tradizionale chiamato panj kāseh-i (“cinque entrate"). All'interno della moschea, queste strutture fungono da protezione architettonica e da sistema di raffreddamento.
Fuori, si possono trovare iwāns (o ayvān in persiano) che sono spazi rettangolari, murati su tre lati e completamente aperti su un altro lato. Il portone formale per l' iwān è chiamato pishtāq e questo pishtāq e le altre pareti sono decorate con fasce di calligrafia, piastrelle e forme geometriche.

sabato 29 settembre 2018

La leggenda della moschea di Mihrimah.


 Uskudar Mihrimah Sultan Mosque
La vita e le opere di Sinan l'architetto (Mimar Sinan) sono molto famose, ma pochi conoscono la storia del suo amore per la principessa Mihrimah, figlia del sultano Solimano il Magnifico. Possiamo raccontarla così. 

C’era una volta….

……un grande sultano, sotto il quale l’impero  ottomano raggiunse grandezza e splendore, tanto da fargli guadagnare l’appellativo di Solimano il Magnifico. Solimano riconoscendo il genio costruttivo di un suo giannizzero, un certo Sinan convertito all’Islam, iniziò a commissionargli alcuni incarichi come costruzioni di ponti, hammam ed edifici e apprezzò talmente il suo operato che  gli diede l’appellativo di “Mimar” ossia “architetto” creando apposta per lui la carica di “capo architetto dell’impero ottomano”. Durante il sultanato di Solimano e con il genio creativo di Sinan, Istambul divenne la città più bella e importante del mondo.
Ma Solimano aveva anche una figlia, Mihrimah, di cui Sinan si innamorò perdutamente.
Quando la ragazza compì 17 anni, Sinan decise di chiederla in sposa, ma Mihrimah aveva anche un altro pretendente , Rüstem Pasha, governatore di Diyarbakır e un po' per motivi politici, un po' perché Sinan aveva 50 anni ed era già sposato, il sultano decise di darla in sposa al governatore. Sinan, deluso e amareggiato riversò tutto il suo amore disperato nelle sue opere.

Quando Mihrimah commissionò a Sinan una moschea in suo nome, l’architetto la costruì sulla sponda asiatica della città, a Uskudar, ai piedi di un’altura. L’edificio fu costruito in una posizione incantevole, incastrato tra mare e collina, ma risultò buio avendo poche finestre e piccole, un porticato e una veranda che non lasciavano passare i raggi del sole; bellissima, certo ma non paragonabile alle altre moschee.Diciotto anni più tardi Mimar Sinan iniziò la costruzione di una nuova moschea sempre dedicata a Mihrimah e questa volta la fece costruire sul colle più alto della città di Edirnekapi, sulla sponda europea. Questo nuovo edificio risultò completamente l’opposto della precedente moschea. Piccola ma luminosissima, con vetrate dai disegni raffinati e bellissimi. Se all’apparenza sembrava che i due edifici non avessero nulla in comune, in realtà molto li legava tra loro. I luoghi in cui furono costruite, sono stati scelti con minuziosa cura, infatti c’era un solo punto in tutta Istanbul che si potevano vedere entrambe: la terrazza del palazzo Topkapi, dove solo la principessa Mihrimah poteva accedere. Ma c’è un’altra particolarità che fa capire quanto amore per la principessa riversò Sinan in queste due costruzioni. Il 21 marzo, durante l’equinozio di primavera, quando notte e giorno hanno la stessa durata, dalla terrazza del palazzo, Mihrimah poteva vedere il sole tramontare dietro il minareto della Moschea di Edirnekapi (moschea della luce -sole) e nello stesso momento, vedere la luna sorgere tra i minareti della moschea di Üsküdar (moschea del buio- luna). Il 21 marzo era anche la data di nascita di Mihrimah e il suo nome Mihr-i-mah significava “sole e luna). Il sole che calava dietro la sponda europea e la luna che sorgeva dietro quella asiatica, Mihr-i-mah,  il sole e la luna incastonati per sempre e solo per lei nel profilo della sua città, dalla mente di un genio innamorato nella più bella ed eterna dichiarazione d’amore.

Edirnekapı Mihrimah Sultan mosque

venerdì 24 agosto 2018

Moulay Ismail e il Bab-el Mansour



Moulay Ismail, secondo sultano della dinastia alawita (quella che ancora oggi governa il paese) e discendente del profeta Maometto, iniziò in modo indimenticabile la sua ascesa al potere nel 1672, all'età di 25 anni: come segno di avvertimento per le inquiete tribù locali, fece adornare le mura delle due grandi capitali imperiali, Fès e Marrakech, con le teste di  10 000 nemici uccisi, raccolte probabilmente durante le battaglie contro i ribelli nel nord del Marocco.
Iniziava così un regno che si distinse particolarmente per l'efferata violenza, ma Moulay Ismail fu uno dei pochi sultani del Marocco in grado di esercitare il controllo su tutto il paese. La sua crudeltà era leggendaria (tanto da meritarsi l’epiteto di “sanguinario”) e l'allegra disinvoltura con cui decapitava gli sventurati servitori che lo scontentavano o le persone che non lavoravano abbastanza duramente probabilmente diede un forte contributo alla stabilità del suo dominio.
I primi 20 anni del suo sultanato furono caratterizzati da sanguinose campagne di pacificazione, ma si dice che più di 30 000 persone siano morte solo per mano sua.
Il motivo essenziale alla base del suo successo militare era la malfamata Guardia Nera: dopo aver portato circa 16 000 schiavi dall'Africa nera, Moulay Ismail si assicurò la continuità del suo elitario esercito fornendo donne ai soldati e destinando i loro figli al servizio nella Guardia. Alla sua morte la Guardia Nera era aumentata di dieci volte e sembrava un'enorme famiglia il cui mantenimento era pagato dalle casse dello stato.
Oltre a reprimere le ribellioni interne, Moulay Ismail scacciò i portoghesi e gli inglesi da Asilah, Larache, Mehdiya e Tangeri; la Spagna riuscì a rimanere a Ceuta, Melilla e AI-Hoceima nonostante gli incessanti assedi. Egli si sbarazzò della minaccia ottomana proveniente dall'Algeria creando una frontiera orientale stabile con una serie di fortificazioni con centro a Taza e inoltre diede vita a una sorta di protettorato sull'odierna Mauritania.
Contemporaneo del sovrano francese Luigi XIV, il Re Sole, Moulay Ismail si ispirò almeno in parte alle descrizioni di Versailles quando progettò la costruzione del suo palazzo imperiale e degli altri monumenti di Meknès. Uno dei monumenti storici più ben conservati e belli della città è il “ Bab el-Mansour”. L'elaborato cancello ad arco a ferro di cavallo e le sue porte di legno alte 15 metri, sono situate al largo della piazza el-Hedim e offrono uno spaccato della grande visione di Ismail. La porta (bab in arabo) monumentale reca un'iscrizione che si traduce come "Io sono la porta più bella del Marocco. Sono come la luna nel cielo. La proprietà e la ricchezza sono scritte sul mio fronte. “ La cosa veramente interessante però è che, a differenza di altre porte marocchine, questa è una follia che non porta da nessuna parte ed è stata commissionata da Ismail semplicemente per impressionare i visitatori.  
La leggenda narra che quando il cancello fu completato, Moulay Ismail lo ispezionò e chiese a Mansour Laalej, l’architetto che l’aveva progettata, se si sarebbe potuto fare di meglio. El Mansour si sentì in dovere di rispondere di si,  ma questo fece talmente arrabbiare il sultano che decise di farlo giustiziare. Per quanto colorata possa essere questa storia locale, i documenti storici mostrano che probabilmente non si verificò poiché la porta fu completata solo nel 1732, dopo la morte del sultano e sotto il regno di suo figlio, Moulay Abdallah.
Per decenni Moulay Ismail  cercò di assicurarsi l'alleanza della Francia contro la Spagna, ma  nonostante i due sovrani si scambiassero spesso regali, Luigi XIV non diede il suo consenso quando Moulay Ismail chiese in sposa una delle sue figlie, la principessa di Conti. Non che il sultano avesse bisogno di ulteriore compagnia femminile: pare che quando morì avesse quattro mogli, 500 concubine e 800 figli.

http://www.cralfem.it/moto/Moulay%20Ismail.htm

martedì 24 luglio 2018

Palazzo el Badi




Il Palazzo el Badi, letteralmente l’Incomparabile, era una sontuosa dimora decorata con piastrelle dipinte a mano, mosaici, oro, onice, marmo e coperta da soffitti in legno di cedro, ma oggi non resta molto dell’antico splendore. Il sovrano alawita Moulay Ismail lo saccheggiò 75 anni dopo la sua costruzione per edificare il suo palazzo imperiale a Meknes. Conosciuto anche come Palazzo dei tre re o  palazzo vecchio, il Palazzo el Badi è stato costruito nel XVI secolo dal sultano Ahmed Al Mansour Saadien Dhahbi per celebrare la vittoria contro l’esercito portoghese. Il sultano scelse di edificarlo nell’angolo nord-orientale della Kasbah, vicino ai suoi appartamenti privati, e volle un ampio cortile con al centro una fontana monumentale con due vasche sovrapposte e sormontata da un getto d’acqua. Su entrambi lati, inoltre, si trovavano due padiglioni coperti da cupole sorrette da dodici colonne mentre due padiglioni di dimensioni maggiori occupavano il lato settentrionale e quello meridionale. Oggi el Badi è sostanzialmente in rovina e restano solo alcuni frammenti di colonne, stucchi e piastrelle. Vale la pena visitare le prigioni sotterranee e la terrazza da dove si può godere di una magnifica vista sui tetti di Marrakech. Nel mese di giugno, inoltre, il palazzo el Badi è scenario di una festa popolare che vede la partecipazione di gruppi musicali e ballerini provenienti da tutto il Marocco.


giovedì 28 giugno 2018

Il nome del convertito



La conversione all'Islam è considerata come una nuova nascita, una rigenerazione spirituale, dunque l'adozione di un nuovo nome è un atto assolutamente naturale.
La nuova identità, data dal nome arabo scelto, viene utilizzata soprattutto all'interno della Ummah, mentre per la "burocrazia" del proprio paese rimane in uso il nome precedente.
Il nome può essere scelto dal convertito stesso in funzione delle sue affinità spirituali o delle sue aspirazioni, oppure può essere suggerito dai fratelli o dalle sorelle Musulmani/e, solitamente da qualcuno che è stato spiritualmente vicino al nuovo "Muslim".
Si può scegliere un nome arabo che abbia una corrispondenza di senso con l'originale, ad esempio Nûrah per Lucia; Karîma per Adele = nobile. La corrispondenza può essere stabilita anche in funzione del suono  come Safiyya per Sofia o Farîd per Alfredo.
Se il nome di origine si riferisce ad un personaggio biblico o evangelico se ne potrà adottare la forma araba; avremo Dawud per Davide, Yûsuf per Giuseppe, Yahyâ per Giovanni e Maryam per Maria.
Naturalmente si può scegliere anche un nome assolutamente diverso da quello di nascita.

martedì 22 maggio 2018

Ramadan nel mondo: le tradizioni del Qatar


MUBARAK ALEKOUM EL SHAHAR


cannon fire ramadan

L'atto del digiuno nel Ramadan è lo stesso per i musulmani di tutto il mondo, ma alcuni costumi e tradizioni differiscono da paese a paese così come ogni cultura e lingua ha il proprio modo di salutare amici e familiari per segnare l'inizio del mese sacro. In Qatar si dice “Mubarak alekoum el shahar”.
La vita in Qatar durante questo mese presenta due aspetti:
Il primo è la vita dei residenti stranieri che cercano di replicare i costumi e le tradizioni delle loro terre d’origine; sono infatti milioni le persone provenienti da vari paesi arabi e musulmani che abitano in questo stato.
Il secondo è la vita condotta da cittadini del Qatar, che si prendono cura di far rivivere le loro tradizioni e costumi secolari.
AL NAFLA
Due settimane prima dell'inizio del mese sacro, nel mezzo di Sha'ban (il 14° giorno del calendario Hijri) si celebra Al Nafla.
Al Nafla si basa sull'atto di dare e condividere. Le famiglie si riuniscono per preparare i piatti tradizionali. Il cibo viene poi distribuito ai vicini e ai poveri. Mentre si cucina per questa ricorrenza, si iniziano anche a preparare gli ingredienti per i piatti del mese di Ramadan e si ricordano i premi e le benedizioni associati al mese in arrivo.
E' una tradizionale festa per bambini celebrata dopo la rottura del digiuno nella quattordicesima notte del Ramadan. Vestiti con abiti tradizionali e portando  a tracolla una borsa decorata, i bambini camminano nei loro quartieri cantando la canzone di Garangao. Bussano alle porte per ricevere caramelle e noci. In passato si usava regalare riso e grano, ingredienti usati per un piatto tradizionale del Qatar chiamato Harees.
RAMADAN CANON
Un'altra caratteristica distintiva del Ramadan in Qatar è il suono dei cannoni che continua a segnare il tempo di rompere il digiuno mentre  la professione di Al-Musahhir, l’uomo che svegliava la gente per l’ultimo pasto prima dell’alba, è completamente scomparso. L’ uso del cannone permetterebbe, anche chi è lontano dalla città, di sentire il segnale e sapere che è il momento di rompere il digiuno.
Questo cerimoniale è trasmesso anche  in diretta su Qatar TV come indicazione della fine della giornata.
PIATTI TRADIZIONALI
Al-Harees è un piatto a cui nessuno rinuncia nel mese di Ramadan. Consiste in purea di grano mista a carne, burro chiarificato e cannella in polvere. Sempre presenti in tavola anche Ath-Thareed, pezzi di pane in brodo vegetale o di carne e  Al-Majboos , pollo cotto al forno nel riso. Non possono mancare nemmeno i dolci tradizionali come : Al-Muhallabiyyah, che consiste in riso e latte conditi con zafferano e cardamomo. Al-Luqaymaat, gnocchi dolci e Luqmatul-Qaadhi pasticcini fatti di pasta fritta impregnata di sciroppo, salsa di cioccolato o miele, con cannella e a volte cosparsi di sesamo o noci grattugiate. Subito dopo la preghiera Taraaweeh, gli uomini si riuniscono per il pasto di mezzanotte chiamato Al-Ghibqah. Dopo di che, trascorrono la serata in amichevole conversazione . Anche le donne si incontrano dopo Taraaweeh per serate piacevoli. Durante Al-Ghibqah, i piatti speciali serviti sono: Al-Mehammar, pesce fritto e riso cotto con lo zucchero, Al-Harees e Al-Madhroobah,mix di pesce salato, spezie e farina.


Garangao-Doha-Qatar

martedì 1 maggio 2018

La leggenda del Taj Mahal.



“Una lacrima di marmo ferma sulla guancia del tempo”: così il poeta Rabindranath Tagore definì il Taj Mahal, monumento simbolo dell'India e capolavoro senza eguali dell'arte persiana. Ogni giorno migliaia di visitatori restano a bocca aperta davanti a questo celeberrimo mausoleo, patrimonio UNESCO dal 1983, che si è guadagnato di diritto un posto fra le nuove sette meraviglie del mondo. Il Taj Mahal, il cui nome significa “ palazzo della Corona”, fu costruito come monumento dedicato all’amore eterno. Si racconta infatti, che l’imperatore mughal Shah Jahan aveva molte mogli, ma la sua favorita era la seconda moglie Arjumand Banu Begum, meglio conosciuta come Mumtaz Mahal (che in persiano significa “gioiello/eletta del palazzo”) principessa originaria della Persia. Quando lei morì nel 1631 a soli 38 anni, mentre accompagnava il marito durante una campagna militare nel sud dell’India a Behrampur, aveva appena dato alla luce il loro quattordicesimo figlio. La sua morte fu un vera tragedia per l’imperatore, tanto che, nel giro di pochi mesi, i suoi capelli e la sua barba diventarono completamente bianchi per il dolore.
Esistono varie leggende sulla decisione di edificare il Taj Mahal, una di queste racconta che prima di morire, Mumtaz Mahal chiese all’imperatore di farle quattro promesse nel caso in cui fosse morta prima di lui. Come prima promessa gli chiese di costruire il Taj Mahal; la seconda di risposarsi per dare una nuova mamma ai loro figli; la terza che sarebbe sempre stato buono e comprensivo con i loro figli; e infine la quarta, che avrebbe sempre visitato la sua tomba nell’anniversario della sua morte.
Di tutte queste promesse la prima sembra l’unica ad essersi avverata.
La costruzione del Taj Mahal, che sorge sulle rive del fiume Yamuna ad Agra, nell’India Settentrionale, iniziò nel 1632 e ci vollero ben 22 anni per essere completata. Vennero impiegati più di 1000 elefanti e ventiduemila persone tra cui l'architetto italiano Geronimo Veroneo che lavorarono sul progetto di Ustad Ahmad Lahauri. L'unico materiale locale utilizzato fu l'arenaria rossa che decora le diverse strutture del complesso. Tutto il resto fu fatto arrivare da lontano: il marmo bianco da Makrana, il diaspro dal Punjab, la giada e il cristallo dalla Cina. C’erano anche turchesi, lapislazzuli, e una lunga lista di altre pietre preziose, 28 tipi in totale, incastonati nel marmo per un costo di circa 32 milioni di rupie. Persino le impalcature erano pregiate: non di bambù, come si usava da quelle parti, ma di mattoni. Al termine dei lavori l'enorme struttura doveva essere smantellata, un'operazione che avrebbe potuto richiedere anni ma l'imperatore trovò una soluzione più veloce: chiunque avesse dato una mano, poteva tenersi i mattoni. In una notte, l'intero involucro fu smantellato, rivelando il tempio in tutto il suo splendore. Una meraviglia che non poteva rischiare di essere eguagliata: per questo Shah Jahan ordinò di mozzare i pollici agli scultori, di decapitare i progettisti e  amputare le mani a tutti i lavoratori impegnati nella titanica impresa.
Del resto anche a lui toccò una sorte non molto migliore: morì poco dopo la fine dei lavori, in prigione, dove il figlio lo aveva confinato per prenderne il posto. Gli fu concesso comunque l'onore di essere sepolto nel Taj Mahal, accanto alla sua amata. Almeno questo è ciò che racconta la leggenda.
Il Taj è rosato al mattino, bianco latteo alla sera e d’oro quando la luna splende. Sembra quasi che questi cambi di colore rispecchino la mutevolezza dell’umore femminile, o almeno così si dice in India.

lunedì 16 aprile 2018

Le Hadit




Fin dall'inizio della missione profetica di Maometto, coloro che avevano accolto il messaggio islamico e quindi intendevano praticare l'Islam, erano solleciti nel registrare tutto quanto l'inviato di Allah faceva e diceva per poter, seguendo i suoi esempi ed obbedendo ai suoi precetti, realizzare in forma islamica la loro esistenza.  I resoconti e le storie,radunate dagli studiosi islamici hanno dato origine alle Hadit. Hadith è una parola araba che deriva dal verbo "hàddatha" e significa "narrare, raccontare, riferire a qualcuno intorno a qualcosa, riferire a qualcuno qualcosa, appresa da un altro”. Le Hadit quindi sono una raccolta di detti e azioni memorabili, attribuiti a Maometto, alla sua famiglia e ai suoi compagni. Sono un testo importantissimo per l’ Islam secondo per autorità e sacralità solo al Corano. Se nel Corano è centrale, l'insegnamento religioso, le Hadit sono un’utile fonte per tutti tutti quei musulmani che vogliono seguire l'esempio del profeta nella condotta della loro vita, anche nelle cose più minute. Senza  tali  spiegazioni il Corano potrebbe essere frainteso e male interpretato dalle persone, quindi il Profeta si premurò di spiegare e dimostrare ai suoi compagni come i versetti coranici dovevano essere letti e compresi. Ad esempio, i dettagli su come eseguire salat (la preghiera rituale), pagare la zakat, o eseguire l’ Hajj sono stai spiegati dal Profeta attraverso le sue parole e azioni, e non dal Corano. Gli studiosi islamici considerano le Hadit una trascrizione di storie ed episodi tramandati all'inizio per via orale e sono ben consapevoli delle numerose e insanabili contraddizioni in esse presenti. I compilatori delle Hadit, comunque, non si curarono di raccogliere il materiale secondo criteri di coerenza, con lo scopo di ottenere un racconto organico, piuttosto, presero in considerazione l'attendibilità della fonte e non esclusero affatto che versioni contraddittorie di uno stesso episodio potessero contenere elementi che, in diverse circostanze, si potessero rivelare utili per orientare la vita e le azioni dei fedeli. Ogni Hadith consiste di due parti: la tradizione stessa o matn (ad esempio le parole del Profeta) e l'isnad (catena di autorità). L'isnad indica i trasmettitori umani attraverso i quali veniva trasmessa la tradizione. Gli studiosi musulmani  iniziarono presto cercare informazioni sui trasmettitori e ad esaminare le hadith distinguendo  quelle che erano autentiche (sahih), da quelle che erano solo buone (hasan), deboli (da’if), mawdu o batil (falsificate). Scoperto che un hadith è sahih o hasan , è ammissibile come Sharia. La distinzione fondamentale è quella tra hadith nabawi (da nabi, profeta) e hadith qudsi (santi). Nei primi si riporta un’affermazione fatta direttamente da Maometto, i secondi, invece, sono le parole del Profeta, ispirate da Allah, che non sono registrate nel Corano. Una piccola curiosità: già in una collezione del IX secolo, quindi molto vicina all'epoca in cui visse Maometto, si elencavano 300.000 Hadith di cui oggi sembra che ne siano state riconosciute come attendibili solo 8000.

venerdì 30 marzo 2018

L' hammam e i suoi rituali



Chi non l'ha mai provato, può pensare che l'hammam sia 'solo" un bagno turco o una sorta di bagno termale, ma in realtà è ben altro. Una seduta all'hammam è un'esperienza unica, che regala emozioni e che fa ritrovare un contatto più profondo con il proprio corpo. Bagni di vapore, aromi preziosi e speziati, incensi ed oli profumati, sono a disposizione per consentire di immergersi in una magica atmosfera di calma e rilassatezza.
Si accede innanzitutto ad un vestibolo, in cui ci si può spogliare e prepararsi  a passare alle altre stanze. Il trattamento originale prevede tre fasi. La prima si trascorre all’interno del tepidarium, una sala umida con una temperatura compresa tra i 30°-35°, utile per abituarsi al calore dell' hammam. Qui si riempiono due dei grandi secchi disponibili, uno con acqua fredda e uno con acqua calda e ci si lava superficialmente  per eliminare lo sporco sulla  pelle e sui capelli.
Si passa poi al  calidarium, ossia la vera stanza da bagno dove la temperatura arriva fino a 45° e ci si sottopone ad una rilassante seduta di bagno di vapore che aiuta il corpo ad eliminare la fatica, lo stress, i liquidi in eccesso, le impurità dell’epidermide e favorisce le vie respiratorie grazie all’effetto decongestionante del calore e dell’elevato tasso di umidità. In questo senso il bagno turco è un ottimo rimedio per raffreddore e influenza, malattie ai bronchi,  dolori muscolari, blocchi alla colonna, nonché disturbi di tipo artritico e reumatico; in generale, però, deve essere cautamente evitato da chi soffre di cardiopatia, forti disturbi respiratori e in seguito ad episodi di flebiti e trombosi.
Il bagno di vapore favorisce una notevole perdita di liquidi (ideale per chi soffre di ritenzione idrica), quindi è consigliabile reidratarsi, infatti nelle strutture è sempre presente una sala relax con tisane, tè alla menta e frutta a cui è possibile accedere in qualsiasi momento.
Successivamente si ritorna nella stanza calda per un lavaggio più accurato con il sapone nero e si passa alla fase di esfoliazione della pelle del corpo eseguita con  il guanto kessa (tipico guanto da scrub marocchino). Dopo aver lavato pelle e capelli, si utilizza l'acqua del secondo secchio per sciacquare via il sapone e la sporcizia dal corpo. 
Si conclude il tutto con l’immersione nel frigidarium (28°) ossia una vasca di acqua tiepida che richiude i pori e dal forte effetto tonificante. In questa stanza ci sono anche panchine dove ci si può rilassare e lasciare che il  corpo si abitui di nuovo alle temperature normali.  Se si vuole ci si può anche abbandonare alle mani di una massaggiatrice che può restituire vigore al corpo o sciogliere le ultime contratture  rimaste.
Interessante nei paesi arabi e mediorientali, la cerimonia del bagno della sposa che oltre ad essere un rituale estetico e di benessere/purificazione diventa simbolo di uno dei riti di passaggio più importanti quale è il matrimonio, una sorta di addio al nubilato in cui tutte le donne sono al servizio della sposa, il tutto accompagnato da canti e balli tradizionali; molto belli i disegni floreali applicati sulle mani e piedi della sposa a base di hennè considerato simbolo di buon auspicio e prosperità, la pulizia del corpo prevede anche la tradizionale tecnica di epilazione halawa.

domenica 25 febbraio 2018

Le croci tuareg




La principale forma d’arte dei Tuareg si esprime nella decorazione, che va dalla sella dei cavalli, al cuoio, al metallo. Le decorazioni sui metalli sono chiamate Trik ed è con queste che si esprime la loro migliore creatività, spesso tramandata da padre in figlio. Collane, bracciali, anelli  e soprattutto le croci non sono solo ornamenti, ma hanno un significato particolare per ogni tribù. Il popolo Tuareg è suddiviso in 21 tribù (kel) ed ogni tribù ha un territorio di riferimento. Ogni gruppo ha una croce propria e ogni croce presenta particolari caratteristiche, nel disegno, nelle incisioni, nelle dimensioni. Questi simboli hanno differenti valenze e significati che vanno dal sociale e politico:( simbolo di appartenenza) magico:(valenza protettiva) decorativo (elegante monile di prestigio), esoterico:( reminiscenza storica di un passato cristiano che il popolo berbero presenta come rivalsa all’ Islâm e agli invasori arabi). È il caso della croce di Agadez, sicuramente la croce più conosciuta nel mondo, e delle altre venti croci che rappresentano altrettante Confederazioni, alle quali viene attribuito il potere di disperdere il male ai quattro angoli della terra attraverso i particolari bracci che le compongono. La loro nascita risale al periodo pre-islamico, influenzate nel loro esistere proprio dal cristianesimo molto diffuso nel grande bacino sahariano tra le popolazioni berbere prima dell’invasione araba. Simbolo dei quattro punti cardinali essa veniva donata da padre a figlio con una frase rituale “Figlio mio ti dono i quattro angoli del mondo, perché non sappiamo dove moriremo”. Originariamente ognuna di queste croci era costituita da un corpo ovoidale sormontato da un anello, con appendici secondarie diverse per ogni tribù. Col passare degli anni la ghianda si è appiattita, anche per motivi legati alla facilità di fabbricazione, arrivando alla sua attuale forma. La croce Tuareg viene realizzata secondo un antichissimo schema. Dapprima viene forgiato un modello grossolano in cera. Da questo viene poi tratto un modello in argilla e cotto in un fuoco generalmente tenuto attivo da un garzone attraverso uno strumento a soffietto di cuoio. La temperatura scioglie la cera dentro la quale si fa la colata d’argento. Una volta raffreddata l’artigiano apre l’involucro d’argilla e, come la perla nell’ostrica, ne trae la croce ancora grezza. Solo dopo averla limata manualmente e decorata la croce prende l’aspetto di prodotto finito. Dopo la croce è importante il triangolo. Il vertice rivolto verso il basso rappresenta la donna come matrice universale, mentre con il vertice verso l’alto rappresenta la montagna cosmica come la piramide in Egitto. Anticamente era il simbolo della dea Tanit che dominava le forze della natura. Il quadrato è, invece, il simbolo della terra, il simbolo del creato, il simbolo del mondo stabilizzato. La chiave realizzata nelle più svariate forme ha spesso una struttura che ricorda figure totemiche, possedendo all’estremità una fessura a mo’ di serratura. Le croci sono realizzate quasi esclusivamente in argento (l’oro non è trattato per ragioni religiose) e quelle di maggior pregio portano sulla faccia posteriore il simbolo dell’artigiano che le ha coniate. Sono portate sia dagli uomini che dalle donne.

martedì 30 gennaio 2018

La conversione islamica



La parola “musulmano” significa “colui che si sottomette alla volonta’ di Dio”, a prescindere dalla sua razza, nazionalità o etnia. Diventare musulmano è un processo semplice e facile che non richiede pre-requisiti ; una persona può convertirsi in privato oppure alla presenza di altri.
Entrando nell’ Islam puramente per il Piacere di Dio, tutti i peccati precedenti vengono perdonati e la persona inizia una nuova vita di pietà e correttezza. Quando si accetta l’ Islam, ci si pente della condotta e di ciò di cui si ha creduto nella vita precedente. Il “registro” della persona diventa pulito, come se fosse appena nato.
Se una persona sente il reale desiderio di diventare musulmano, ha una ferma convinzione e crede fortemente che l’ Islam sia la Vera Religione di Dio, allora tutto ciò di cui ha bisogno è pronunciare la Shahada (Testimonianza di Fede). 
La Shahada è il primo e il più importante dei Pilastri dell’ Islam ; pronunciando questa testimonianza con Fede sincera, convinzione e capendone il significato, una persona entra nella Ummah Islamica. Si può fare da soli ma sarebbe molto meglio farlo di fronte a testimoni (fratelli musulmani).
La testimonianza di fede (Shahada):
«Ashadu an là ilàha illà Allàh, wa ashadu anna Muhammad Rasul Allàh»
La cui traduzione e’:
“Testimonio che non vi e’ altro Dio se non Dio, e che Mohammed e’ il Suo Servo e Suo Messaggero”